Sunday, March 21, 2010

Benvenuta primavera (giornata di pioggia)

La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani

ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

Sunday, March 07, 2010

Una settimana....

... o per la precisione, 5 giorni lavorativi.... 40 ore effettive.... tanto mi separa dalla fine di questa avventura a Brissago, in terra svizzera.
E quindi, come alla fine di ogni cosa, il bilancio è d'obbligo. Mettere nero su bianco quanto avvenuto ci permette di meglio osservarlo, di valutarlo, di razionalizzare e forse un giorno di ricordare.

Premessa fatta, ora tocca ai conti!
Non è stato un periodo facile, e questo è innegabile; è sotto gli occhi di tutti coloro i quali ogni giorno hanno sentito le mie parole: il senso di non appartenenza, la mancanza di "vita" e di "colore", mi hanno veramente portata al limite della mia sopportazione; ho temuto più e più volte di non trovare il coraggio di prendere il treno alla domenica sera e ritornare qui. Una prova di forza notevole, che ovviamente ha influito su di me e forse mi ha resa ancora più forte.... pur avendo dimostrato palesemente le mie debolezze: io che sempre sostenevo che la solitudine non era un terribile mostro.... ed invece... invece.... la solitudine non è un mostro se e solo se hai i mezzi per combatterla, per riempire il tempo e farlo trascorrere, impegnarsi in qualsiasi attività, piuttosto che rimanere fermi a guardare il tempo che scorre....

Cos'altro? Tutto quello che ho imparato qui. Tutto quello che ho potuto osservare. Tutto quello che ho potuto fare. Tutto quello che ho intravisto di poter fare in un futuro.
Quello che vorrei essere e soprattutto cosa non vorrei essere... Come non vorrei essere. Ho aperto gli occhi su come vorrei configurare la mia professione, su quali ambiti dirigere il mio sguardo e su cosa ancora - cosa molto importante - devo formarmi: ora so di cosa sono manchevole. E voglio rimediare.
Ho visto anche quello che come persona non vorrei mai sperimentare e nutro la profonda speranza che il futuro non riservi a me e a chi amo ciò che ho visto.

Ho imparato ancora una volta, ancora più intensamente, quanto sia difficile vivere... e ancora di più quanto sia difficile vivere dopo che la medicina ti ha salvato dalla morte, vivere dopo che qualcosa dentro si è rotto irrimediabilmente, vivere cercando di rimediare al danno fatto, vivere in attesa di morire.
Ho imparato con le mie mani che la malattia è terribilmente democratica, a tal punto che collide con i sistemi socio-assistenziali di cui questo Stato - e non solo questo Stato - si vanta. E' talmente sopra le parti, che non ti guarda in faccia, ma colpisce e basta!
E quanto incredibilmente sia difficile accettare tutto ciò...
E così, di fronte a questo fatto che ha i connotati di un assioma, il piccolo uomo, col suo Sistema Nervoso Centrale un po' barcollante, decide che lui ha diritto alla camera singola con vista sul lago, dato il costo del suo premio assicurativo; oppure decide che non è il caso di combattere e si lascia andare; oppure decide di doversi ritenere fortunato - "ho una seconda possibilità" si dice - e prova a cambiare; oppure si dice "è l'ultima opportunità che mi viene data" e prova a farla durare quanto più è possibile. Si conducono delle battaglie che hanno già, a lungo termine, la vittoria scritta - d'altro canto questo è il vero senso della vita, no? -; il nostro tentativo è far in modo che lo scontro duri quanto più a lungo possibile.

Qui ho imparato che un gesto ed uno sguardo hanno un valore incredibile: le solite parole, qualcuno dirà, i soliti moralismi..... quel qualcuno però non avrà visto lo sguardo di paura, lo sguardo di smarrimento negli occhi di un afasico che non comprende e non sa esprimersi, non ne capisce la ragione, non sa come venirne fuori. E allora lì scopriamo il potere di quella parola così strattonata che è EMPATIA.
Ho imparato che spesso il nostro cervello cade vittima di una tale condizione per cui anche le cose più semplici perdono di significato e diventano inconoscibili: avresti dovuto aspettartelo, mi direte, dopo 5 anni di università. E' vero, vi rispondo, ma un conto è leggere la definizione di agnosia, un conto è vedere un uomo che non è in grado più di riconoscere un bicchiere e non lo sa più usare.
Ed infine ho imparato che sporcarsi le mani, fa pensare. Che il confronto diretto con un altro che soffre, necessariamente impone una riflessione su se stessi e un confronto con le proprie idee e paure.

Ero una quasi fatalista prima di arrivare qui. Ora lo sono ancora di più. Possiamo fare ogni sforzo per cercare di preservare noi stessi, ma su certi aspetti non possiamo agire, non abbiamo controllo... è così difficile ammetterlo che preferiamo convincerci del contrario.

Lascio questo posto, così controverso; lascio questo luogo, così pieno di emozioni contrastanti; lascio questo paesino sul lago e la sua gente che non ho conosciuto.

Dentro di me la profonda convinzione di un cambiamento avvenuto. L'ennesimo. Il definitivo?