Friday, September 18, 2009

Viaggio a Parigi, settembre 2009


Alcuni di noi, spesso, hanno piccoli sogni che, per quanto semplici possano apparire, in realtà hanno un pizzico di insormontabilità e fanno sì che il sognatore li conservi anelandone la realizzazione, ma senza far nulla per perseguirla. Parigi per me è sempre stato questo: un qualcosa a cui anelavo ma che non progettavo.
E quindi ancor di più il regalo di Daniele, per la mia laurea, è stato estasiante: 4 giorni a settembre nella meravigliosa città francese. Ho spulciato libri, guide, stralci di giornale e di articoli online, racconti di ogni genere e tempo, tutto ciò che potesse raccontarmi di questa città: non volevo partire senza sapere che cosa stavo andando ad incontrare.
E’ vero pure, però, che la prima volta a Parigi prevede un tour turistico, “da guida”. Ma come si può rinunciare a quelle mete così raccontate? E così il risultato è un viaggio, vissuto su due piani: quello della terra ferma e quello delle altezze, a volte vertiginose, che abbiamo potuto raggiungere grazie alle antiche scale dei monumenti od i moderni ascensori; un contrasto che ritroveremo spesso in questa città, dove il vecchio è vicino al nuovo, mischiati insieme.
Il 3 settembre, di sera, io e Daniele partiamo alla volta dell’Aereoporto di Malpensa: una notte lì, in attesa del volo Lufthansa delle ore 7.00 per l’aereoporto Charles De Gaulle. Volo splendido, se non fosse per la signora di fianco che, in preda ad un loop claustrofobico, sentenzia che vuolescendere dall’aereo. Dopo un’azione di supporto, tutto risolto… si parte – e la signora con noi, con somma gratitudine dei suoi compagni di viaggio -.
L’aereoporto è grande, fatto di lunghi tapis roulant, trenini, terminal (ben 3), ma con coraggio e senso di osservazione, ci trasciniamo dietro una coppia di signori anziani fino a Paris Nord (per gli amici Gare du Nord); prendiamo la metrò e arriviamo alla nostra fermata: Blanche… uscendo sulla destra, ci accoglie il Moulin Rouge: piccolo e rosso, sembra un locale come un altro… e forse c’è da chiedersi se nel famoso quartiere di Pigalle non sia solo quello…. Ecco la salita verso il nostro albergo, sito nella Butte del più affascinante quartiere di Parigi: Montmartre. Evidentemente questo è già un chiaro segno della grande attenzione che Daniele ha messo nell’organizzare il tutto: l’albergo è proprio lì, in uno dei quartieri di cui forse più si è raccontato, frequentato da gente talmente variegata da apparire comunque più francese del resto della città. Ciò che ci colpisce nell’immediato, mentre percorriamo i vicoli in salita verso il Sacro Cuore, è il silenzio di alcuni angoli, l’aspetto “da villaggio” di alcune strade, la piazza piena di avventori e pittori; piccole botteghe nel quale spiare scoprendo un anziano che dipinge incessantemente gatti, una boulangerie che col suo odore fragrante ti invita ad entrare. Ed ogni tanto uno scorcio sulla bella città che si staglia ai nostri piedi e ai piedi della collina, sino a quando per la prima volta vedo quella che diverrà la protagonista incontrastata di questo viaggio, un viaggio che diventerà un lento avvicinamento verso quella figura svettante: la Tour Eiffel.
E si arriva così fino alla famosa Chiesa di questo quartiere: tantissima gente ad osservare quel bianco candore che ogni giorno si rigenera e si accresce. La guida fornisce un giudizio poco lusinghiero e forse la veduta più affascinante resta la grande scalinata bianca col prato verde e i piccoli passaggi laterali che ti accompagnano fino a metà. Poi giù per le strade del quartiere, fino a raggiungere Abassess, una splendida fermata della metrò, ma così faticosa a causa dei suoi gradini infiniti che ti portano giù fino al treno; fortunatamente è stato installato un ascensore moderno che aiuta i meno allenati (ovvero il 99% della popolazione!). Oltre alla fermata in art decò, in questa piazza si staglia anche la sede della Croce Rossa Francese – non posso non fotografarla! – e soprattutto il muro dove Ti amo è scritto in tutte le lingue del mondo: giusto per rimembrarci che Parigi è pur sempre la città dell’amore e del romanticismo. Ma Parigi è anche la città dei bizzarri francesi e così proprio vicino alla metrò una francese vestita di tutto punto, col berrettino in testa suona una fisarmonica.
Prendiamo la metrò in direzione dell’Opera Garnier: al di là delle mie foto che attestano come io possa ballare in tutti i teatri del mondo (ovviamente non mi dilungherò sul fatto che mi è concesso solo lo spazio della hall e dei corridoi e non evidentemente sul palcoscenico), del fatto che questo teatro abbia accolto i più importanti nomi della danza e il mio amato Bejart, della bella vista che si gode dal balcone principale, questo teatro non è un semplice teatro…. È un luogo sfarzoso, dorato, pieno di specchi e fregi e orologi e tendaggi sontuosi…. A guardarlo, ne rimani abbagliato e vorresti chiedere che togliessero qualcosa perché tutto quello sfarzo non può essere retto dai tuoi occhi.
Usciamo alla ricerca del cibo e qui ci imbattiamo in un luogo che non volevamo visitare; e soprattutto credo che neanche la migliore guida di Parigi possa dare un mano: le Gallerie Lafayette. Allora, acquistato il pranzo, scappiamo subito via, ci issiamo sui gradini del teatro e ci gustiamo il momento. La stanchezza si fa sentire; meglio tornare in albergo per un breve riposo.
Ore 19.00, è tempo di cena. Seguiamo il consiglio della guida e di un racconto di una coppia di turisti, per giungere in un localino piccolo, ma spettacolare, della Butte: il menù offre un piccolo aperitivo con un bicchiere di un qualcosa di alcolico non ben definito, e bourgignone, con del vino rosso servito in un biberon. Per arrivare al mio posto dietro la panca addossata al muro, scavalco il tavolo, aiutata dai gestori del locale, suscitando l’ilarità della gente, soprattutto perché loro stessi han vissuto quell’esperienza pochi istanti prima. Emozionante mangiare della carne sfrigolante, ridendo un po’ ebbri per il vino e per l’aria fumosa del luogo, gomito a gomito con un coppia di russi ed un quartetto di ridenti americani: questa resterà la miglior cena della vacanza.
Decidiamo di trascorrere la nostra prima serata da parigini al Louvre: spettacolare. La luce soffusa inspira voglia di scattare mille foto, rende ogni angolo suggestivo, così come è suggestivo il riflesso dei palazzi e della luna nell’acqua dei canali intorno alle contestate piramidi in vetro: è necessario ammettere però che parte della suggestione è un loro merito, del netto contrasto con l’Arc Du Carossell: questo monumento così a suo agio a guardia della grande piazza e quelle strutture ferrose invece così fuori tono, ma estremamente fiere e fors’anche estremamente strafottenti rispetto al resto: loro son lì, e da lì non si muovono. Forse ripercorrono un po’ l’idea che il mondo ha dei Parigini: popolo antipatico, pieno di sé; eppure tutto il mondo va a trovarli. Arriviamo fino alla Senna per dare un’occhiata lontana all’altro lato e a destra intanto, una grande Signora vestita d’oro, ci osserva, ci spia.
Il giorno successivo inizia con una meravigliosa tazza fumante di caffè americano, croissant e muffin da Starbucks, nella piazza del Moulin Rouge: questo sarà il nostro rito mattutino parigino. Una giornata intensa ci attende: inizia attraversando Pont Neuf; Mentre la maggior parte dei turisti si ferma ad ammirare la statua equestre di Enrico IV, la nostra attenzione viene catturata dalla graziosa Place Dauphine: castagni e campi di bocce, un silenzio irreale che assorda rispetto al rumore delle macchine e il ciarlare della gente delle strade limitrofe. Camminando lungo il fiume, giungiamo al complesso de Palais de Justice e soprattutto a La Chapelle: la parte inferiore della chiesa è interessante, soprattutto per la pittura murale che ricorda il velluto degli abiti sontuosi, ma non ci sono parole per descrivere l’impatto visivo che si ha quando, dopo aver percorso la stretta e ripida scala a chiocciola, si giunge alla parte superiore: immediatamente veniamo immersi in un tripudio di colori, così intensi, caldi, pastosi, su quelle vetrate altissime. Tutti uscendo dalle scale si fermano esterrefatti e quello dietro già inizia a scalpitare, comprendendo un attimo dopo e diventando egli stesso poi oggetto dei reclami di chi lo segue.
Usciamo ed il sole parigino ci accoglie. Camminiamo e Daniele scopre il mercatino di uccellini, tipicamente parigino, e fa la conoscenza di un bipede anni ’70, con un ciuffo estremamente cotonato. La nostra meta successiva è la famigerata Notre Dame: quanta gente in questa piazza; io che mi sorprendo nel vedere ancora il sole e la chiesa luminosa: ma davvero credevo che Notre Dame fosse oscura, nera, inquietante? Forse sì, lo credevo davvero. Gli interni sono così alti e luminosi, la chiesa è piena di gente per la messa domenicale; noi ne approfittiamo per guardare le navate laterali e solo dopo che la navate centrale si libera, possiamo osservarla con calma. Poi ci mettiamo in fila, mangiando il nostro frugale pranzo (il panino!) osservando un artista di strada che facendo il verso ai passanti, cerca di far sorridere coloro i quali, a volte con poca pazienza, attendono di salire… e che salita!!! Lunghissima, scale, scale, scale… fino alla cima famosa di Notre Dame a 46 metri di altezza; ad accoglierci ci sono le statue gotiche che guardano in basso o lontano, l’orizzonte parigino. Camminando lungo lo stretto corridoio, il panorama si offre in tutta la sua bellezza; giungiamo ad osservare la famosa campana e poi ritorniamo giù, con le gambe che ci tremano per la stanchezza: è d’obbligo stenderci nel piccolo giardinetto ai piedi della maestosa cattedrale e guardarla attraverso le fronde degli alberi.
Dove ci condurranno ora le strade di Parigi? Beh, verso una deliziosa crepes alla nutella; e verso il Pantheon: la guida dice che gli artefici di questo tempio immaginavano che avrebbe superato in bellezza S. Pietro; sinceramente credo che abbiamo mirato troppo in alto e d’altro canto, se questa fosse davvero una chiesa, forse sarebbe veramente troppo poco mistica; invece assurge meravigliosamente al suo ruolo di mausoleo, con le tombe di Rousseau e Voltaire a fronteggiarsi, mentre Hugo, Dumas e Zola nello stesso anfratto (che gran chiacchierate sulla letteratura si fan quei tre!) e Marie Curie che impone la sua presenza femminile con la delicatezza di una pietra bianca.
Rientriamo in albergo, per prepararci all’inebriante sera: la cena all’Hard Rock Cafè, dove il cameriere afro parla un inglese perfetto ed onora i suoi ospiti come un vero maitre da sala. Il panino qui è ottimo, nulla da obiettare: una cena commerciale, è vero, ma buonissima! E quindi prendiamo la metro diretti a Place de l’Alma, dove c’è la riproduzione della fiamma della Statua della Libertà e dove soprattutto c’è l’imbarco dei luminosissimi bateaux-mouches: qui ho vissuto il momento più pauroso di tutta la vacanza a causa della distesa infinita di ragni: temevo di dare fuori di testa, ma la provvidenziale strada a fianco della passerella mi ha aiutato… e mi ha permesso di comprendere che avevamo formato una fila inutile e che l’imbarco era poco più in là. La paura però viene sdoganata dalla meraviglia di fronte alla Tour Eiffel che scintilla: l’ora è scattata! Dalla Senna si ha un’immagine diversa e suggestiva della città: i monumenti sono lì, alcuni si affacciano grandemente sul fiume, altri si nascondono dietro gli alberi o nell’oscurità senza risultato a causa delle luci del battello. E lungo il fiume, osserviamo ciò che rende ai miei occhi questa città come un angolo spettacolare di mondo: ecco dunque gruppi di persone che ballano lungo il fiume, chi salsa, chi tango, chi dance… ma ballano con la musica alta e l’euforia nel salutare i turisti del battello.
La mattina dopo, la nostra colazione da Starbuck, col sottofondo della musica di Sinatra e il Moulin Rouge sonnecchiante: è mattino, dunque. Questa giornata prevede il nostro incontro ravvicinato con la Signora. Come descriverla? Immensa, alta, ferrosa, schematica. E’ come se qualcuno dall’alto, l’avesse posata lì, con quelle 4 arcate agli angoli a sostenerla: ci sarebbe da chiedersi se un giorno quel qualcuno non torni per spostarla tutta intera altrove. Saliamo su col primo ascensore rosso e poi ancora più su, sino alla cima con l’altro ascensore, così rapido nella sua corsa da farmi girare la testa.. e lassù ancora Parigi dall’alto; camminiamo tutto intorno, perché questa volta la vista è veramente a 360°: ammiriamo i grandi boulevards che tagliano geometricamente la città e gli alberi, che iniziano già a colorarsi di marrone: è pur sempre settembre! E qui ha luogo una delle scene più esilaranti del nostro viaggio: Daniele, romanticissimo, fa scivolare tra le mie mani un pacchettino rosso; la vista da Parigi fa da scenario al mio regalo… ed ecco quel paio di orecchini che ho sempre amato e che per breve tempo ho avuto prima che mani estranee me lo strappassero. Felice e soprattutto sempre sorpresa della sua grande capacità di stupirmi, abbraccio Daniele; fino a quando un americano dice che ci vuole scattare una foto. Perché mai? Noi titubanti acconsentiamo alla sua richiesta. Scatto e poi una pacca sulla spalla di Daniele e un : “Congratulation” che ci lascia basiti e senza possibilità di replica. La moglie dell’americano, visivamente emozionata, l’americano, visivamente emozionato e noi ancora inconsapevolmente consci del grande equivoco. Solo dopo, grandi risate!
Scendiamo dalla grande Signora, per dirigerci a mangiare un panino seduti sul prato de Champ du Mars: in questo modo si può dare libero sfogo alla propria creatività fotografica avendo come sfondo la Torre, si può godere del caldo sole parigino, si possono osservare i vari turisti e soprattutto si possono avere conversazioni dirette con i corvi che abitano proprio da queste parti (Daniele docet, anche se la sua conversazione con il corvo di turno aveva toni belligeranti!).
Siamo abbastanza stanchi, il caldo diventa importante, ma la nostra successiva metà sembra essere fresca ed accogliente, lontana dal trambusto cittadino. Passiamo dal Trocadero, mangiamo un gelato, prendiamo la metro e arriviamo a Place della Concorde dove Daniele resta soddisfatto dello splendido reperto che fin da Luxor è giunto qui a troneggiare. Poi entrando negli spettacolari Jardin des Tuileries, arriviamo alla Orangerie, dove ci attendono le 12 magnifiche sontuosissime Ninfee di Monet. Sono belle da togliere il fiato, in una location – semplice e pura - che ne esalta ancora di più la bellezza: sedersi e ammirarle fa respirare l’anima. Si può visitare anche la Collection Jean Walter et Paul Guillaume, che sinceramente però ha dato poca soddisfazione sia a me che a Daniele. Ovviamente la mia classicissima figura da turista all’arrembaggio la metto in scena nel negozio del museo, mentre contenta per il mio splendido acquisto (la riproduzione delle Ninfee al Mattino) dico al gentilissimo cassiere: “Poster number undici!”… che mi sembra ovviamente giusto!
Usciti, prendiamo due sedie, le tipicissime sedie verdi, e ci sediamo su un punto alto del giardino per osservare il viavai della gente e godere di un momento di riposo. Passa la Gendarmerie in groppa a dei splendidi cavalli: anche loro danno colore all’ambiente, lasciandosi fotografare. Continuiamo la passeggiata attraverso il lungo viale, accecante per il sole, fino a giungere all’Arc du Carossell e, ahinoi, al Louvre: dov’è la poesia di due sere prima? Il silenzio, la luce soffusa, quello splendido contrasto architettonico tra vecchio e nuovo, tra antico e moderno, tra buio e luce? Svanito: ora solo tanta gente, stanca, rumoreggiante, che non si guarda attorno…. Questa splendida piazza che con grande eleganza ci aveva accolti la prima sera avvolgendoci nella sua teatrale magnificenza, sembra ora avviluppata su se stessa e forse in maniera sommessa osserva e tace. Da qui il nostro caldo consiglio: visitate questo luogo di sera!
Torniamo verso l’albergo, la nostra ultima serata a Parigi ci attende: vogliamo trascorrerla da perfetti innamorati, vogliamo viverla dolcemente, e soprattutto vogliamo la Tour Eiffel come sfondo… e così, dopo un mini-aperitivo in camera a base di sushi e birra (una delizia!) ed una cena alla Steak House Buffalo di fronte al Moulin Rouge – sconsigliamo vivamente di frequentarla, non per i prezzi e per il cibo (buono!), ma per il cameriere e il suo modo di fare a dir poco offensivo -, prendiamo la metro e ci fiondiamo al Trocadero (meraviglioso di sera, insignificante di giorno, a parte per un ragazzo sui roller che fa follie!). Ci accodiamo sul muretto e ascoltiamo: Edith Piaf con la sua “La via en rose” (magnifica davvero, ha il sapore di Parigi! Era un rito a cui ci tenevo tantissimo!) e la nostra canzone, italianissima. Poi siamo pronti per lo spettacolo di luci: macchine fotografiche piazzate e via….. MERAVIGLIOSA!!!! La gente che rimane a bocca aperta, gridolini di soddisfazione e poi silenzio; un gruppo di ragazzi vicino a noi festeggia il compleanno di un loro amico… 5 minuti e poi tutto torna come prima; e ti chiedi se sia davvero accaduto o non sia stato solo una tua proiezione mentale. Intorno la vita riprende, gli artisti di strada si riattivano e noi prendiamo una crepes alla nutella (dal gusto un po’ discutibile, ma pensiamo che possa essere una buona tradizione da perseguire) e ci accomodiamo sui gradini per godere lo spettacolo di due giovani che si dilettano col fuoco: bravissim. Trascorre un’ora e noi ci guardiamo straniti per aver perso la cognizione del tempo, ma è ancora la torre a ricordarci che sono le 23.00. Rispettosamente la salutiamo e ci avviamo verso Montmartre, la nostra dimora!
La mattina prepariamo il bagaglio e lasciamo la nostra stanza: siamo diretti ad un quartiere nuovo da esplorare e soprattutto a Saint Sulpice: le strade sono veramente piene di negozi di vario genere e tipo e io ne scopro uno veramente parigino, da dove acquisterei tutto. La famosa chiesa dall’esterno ci lascia insoddisfatti, anche forse a causa dell’impalcatura…. E anche gli interni (fatta eccezione per i Delacroix – entrando a destra) non ci fa impazzire; scatta il rito della foto per lo gnomone e l’obelisco, ma soprattutto per lo splendido organo che la guida definisce come il più grande di Francia: non stentiamo a crederlo.
Usciamo dalla Chiesa e ci dirigiamo presso i Jardin du Luxembourg: un oasi meravigliosa, veramente parigina, piena di prati e fiori e alberi e statue; deliziosa in ogni suo aspetto: dalla francese che seduta su una panchina legge, ai due uomini che giocano a scacchi sotto lo sguardo attento di un amico, un anziano nero seduto presso il campo di bocce, giovani aitanti che giocano a tennis e due turisti, noi, che si siedono qui per godere della splendida brezza e di questo angolo sublime. Scopriamo poi la Statua della Libertà, piccola e ben situata in questo posto, nonostante di primo acchito potrebbe sembrare un po’ lontana dalla sua collocazione.
Ma dobbiamo proseguire, ci attende ancora molto da vedere: la Tour Montparnasse! Salire lassù è veramente bello e così ci rendiamo conto che ogni giorno abbiamo visto Parigi dall’alto… e forse è tra le migliori visuali di cui si può godere. La torre è modernissima, con questo suo velocissimo ascensore (il più lesto d’Europa!) a tal punto che le orecchie fan i capricci. E da qui la Torre sembra piccina, a causa anche dell’effetto lontananza.
Poi scendiamo, affamati… ma è così stancante oggi cercare un luogo per pranzare, che ci rintaniamo da McDonald’s…. un po’ di tempo lì non rovinerà certo la nostra meravigliosa vacanza; e poi noi abbiamo fretta, per cui consultiamo la nostra carta e ci rechiamo verso l’ultima meta: Hotel des invalides, una struttura gigantesca con il bianco che fa ancor più da contrasto con l’oro della cupola; entriamo e Daniele non resiste alla curiosità di visitare il museo delle Corazze: veramente ben curato; così come quello dedicato alla due guerre, che osserviamo superficialmente, io perché sono sempre molto inquieta di fronte a questa parte di storia, e Daniele perché sa che il tempo stringe e le lancette corrono. Ci rechiamo nella struttura centrale; e dopo aver visitato la tomba del maresciallo Foch, bella per le nuance celesti, piccolo angolo dove si respira un sincero cordoglio, ci affacciamo alla balaustra, sicché il contrasto risulta netto: la tomba dell’Imperatore di Francia Napoleone; il feretro di porfido rosso, circondato da alte figure femminili in marmo che lo vegliano. Scendiamo, e mentre nella cappella vicina si celebra messa, ci avviciniamo dal basso a questo angolo di magnificenza; sui muri ci sono inscritte le frasi celebri di questo uomo, che ovviamente risulta assolutamente privo di umiltà. In tutto questo viaggio non l’avevamo ancora incrociato: si, certo, alcuni monumenti visti avevano un legame con la sua storia, ma non avverti la sensazione che Napoleone abbia vissuto a Parigi, sino a quando, almeno, non giungi qui: sembra che il tributo per questo uomo, tanto odiato in patria oppure tanto amato – è così tutto tanto ambiguo a riguardo- sia stato tutto concentrato in queste mura: alloro, sfarzo, splendore, clamore, reverenza… tutto qui e da nessun’altra parte di Parigi. Esci dalla porta principale e ti chiedi ancora se davvero Napoleone è mai stato l’imperatore di questa città, in questa città.
Il nostro viaggio è giunto al termine; torniamo all’albergo per ritirare i bagagli e per salutare questo splendido quartiere che ci ha accolti e ci rimarrà nel cuore. Torniamo ancora al nostro Starbuck’s, perché vogliamo ricordare i nostri risvegli qui e vogliamo portarci via un pezzettino di questo angolo. Prendiamo la metro e con uno strano silenzio nell’anima ci dirigiamo lontani, verso Charles de Gaulle. Parigi e la nostra promessa di ritornarci.
Le mie ultime parole di questo racconto sono rivolte a colui che ha reso possibile che tutto questo accadesse: Daniele. Grazie per ogni tuo splendido sorriso in questo viaggio, per la tua allegria, per la tua infaticabilità e perché ogni tuo gesto è così spontaneo da far commuovere…. Noi, sempre senza peso, senza fiato e senza affanno.

2 comments:

Unknown said...

A questo splendido racconto aggiungo un solo episodio - a mio parere esilarante - che Federica si è dimenticata di raccontare: la perquisizione del sottoscritto in areoporto!
Partiamo dal fatto che essendo io un noto terrorista internazionale avevo deciso di affrontare il controllo preimbarco con in tasca un oggetto che poteva essere sicuramente usato come arma impropria a bordo dell'aereo: UNA CASTAGNA!!
Ma ahimè dopo essere riuscito a oltrepassare il metal detector la mia fuga, equipaggiato del ligneo armamento, è stata subito bloccata da una losca figura che facendo scorrere le mani sui miei vestiti è giunta fino alla tasca incriminata. A quel punto sguardo interrogativo dell'agente e fatidica domanda
" Cos'ha in tasca?? ".Ero stato scoperto:non mi rimaneva altra scelta che sguainare la castagna con un innocente sorriso!!
Ovviamente alla vista della suddetta lo sguardo del perquisitore è stato di pura compassione e se avesse potuto mi avrebbe detto " Ma se ne vada lei e la sua castagna!!! "
Insomma alla fine sono riuscito a portare a bordo una castagna, mentre Fede un'intera bottiglia d'acqua: ho bisogno di qualche lezione!!

Ciao!!

Anonymous said...
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